Senza la guerra

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Massimo Cacciari – Lucio Caracciolo – Ernesto Galli della Loggia – Elisabetta Rasy,  Senza la guerra, Il Mulino, Bologna 2016, pp. 125, € 12,00

E’ (stato?) un luogo comune che la Storia, con la maiuscola, non sia altro che una sequela di guerre. Da qui, sostanzialmente, prendono le mosse le riflessioni, importanti, che lo storico, il giornalista, la scrittrice e il filosofo intrecciano in questo volumetto che riprende, rivisti e ampliati, i loro interventi ad un convegno organizzato dal MIUR all’Accademia dei Lincei nel settembre del 2015 in occasione del centenario della Grande Guerra.

Inizia Ernesto Galli della Loggia che inserisce tra i tratti distintivi dell’identità europea “l’intrinsichezza della  guerra rispetto alla dimensione della politica e la realtà ineluttabile dei rapporti di forza a cui la politica stessa è sottoposta”.  E aggiunge che “le guerre del Novecento … hanno sconvolto e mutato realtà e immagini dell’Europa che duravano da secoli, a cominciare dalla coscienza che essa aveva di sé.”  E, certifica Lucio Caracciolo, mentre cento anni fa l’Europa era il centro del mondo, oggi conta piuttosto poco. Infatti,  “ il baricentro geoeconomico del mondo si è spostato negli ultimi vent’anni verso l’Asia, quello geopolitico e geostrategico resta collocato negli Stati Uniti e nella loro rete di alleanze.” In più, la crisi che attraversa il sogno di un’Europa unita, “potenza «gentile», capace di diffondere con il suo soft power un approccio pacifico, tollerante e liberale alle relazioni internazionali” sta producendo una preoccupante frammentazione neonazionalistica. Ciò è in conflitto con la delegittimazione che in Europa la guerra ha subito nel corso dell’ultimo secolo, non solo a causa della fine della sua preminenza militare mondiale, ma soprattutto per la ferocia degli scontri bellici ideologici e razzisti dell’ultimo secolo e per l’uso delle potentissime moderne armi di distruzione di massa, chimiche e nucleari, che hanno provocato cinquanta milioni di morti nella sola seconda guerra mondiale. Non solo. La guerra, ogni guerra, ormai ha assunto un carattere totalitario: il nemico non è mai l’esercito nemico, bensì l’intero popolo nemico, la cui civiltà va cancellata dalla faccia della Terra. E infatti nell’ultimo decennio – scriveva Marcello Flores nel 2005 – il 90-95% delle vittime dei conflitti bellici sono persone non militari. Nessuno oggi immagina possibile la scena, che i cinegiornali LUCE degli anni trenta ci riportano, di una piazza Venezia a Roma gremita di folla osannante alle dichiarazioni di guerra di Mussolini. Sono mutati valori e pensieri. Già nel 1974, ricorda Elisabetta Rasy, ne La Storia di Elsa Morante “si condensa la lunga delegittimazione che la guerra subisce nel corso del Novecento, lo spostamento di senso e il deterioramento della parola stessa, la nobiltà non essendo più ormai qualità del guerriero, ma sostanziale attributo degli sconfitti.

E allora? E’ possibile una via in direzione dell’abolizione della guerra?

Massimo Cacciari indica una direzione. Usare l’arma “che l’Europa ha inventato e fatto meravigliosamente progredire: il Logos. … Ogni dissidio può e deve essere superato dia-logicamente. … La guerra può essere effettivamente condannata a condizione … che il conflitto sia razionalizzabile fino al punto da cessare di essere tale. L’unico modello usufruibile a questo fine è quello del contratto. Il dissidio si risolve attraverso accordi…” . E’ la strada che faticosamente, lentamente, un passo avanti e due indietro, sta tentando da più di mezzo secolo l’ONU, con le sue Carte, Statuti, Dichiarazioni Universali e Tribunali internazionali che hanno alla base “come Grundnorm: «La guerra è un crimine»”.

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